mercoledì 26 novembre 2008

I Templari in Terra di Puglia di Vito Ricci. Rubrica a cura di Antonietta Verducci











2 puntata…


Gli insediamenti

I Cavalieri Templari sovente alloggiavano in chiese minori, oratori, cappelle dipendenti da episcopi o cattedrali o in monasteri cui spesso erano annessi ospizi per l'accoglienza dei pellegrini. Grazie all'intervento dei pontefici il Tempio riusciva ad ottenere in concessione perpetua o temporanea immobili appartenenti ad Enti ecclesiastici dietro pagamento di un censo annuo. A volte erano gli stessi Templari a costruire delle chiese, anche se in Italia tale attività sembra essere alquanto ridotta. Ma è soprattutto alle donazioni e ai lasciti dei benefattori che il patrimonio templare vide una rapida crescita sia nelle città che nelle campagne. Le domus templari italiane raramente erano isolate e sovente facevano parte di ecclesiae, con le quali finivano per confondersi. Le domus erano anche costituite nell'ambito delle mansiones, composte nella forma più elementare da un ricovero per i viaggiatori ed una stalla per i cavalli. Le domus-mansiones erano collocate nei centri di transito o confluenza delle principali correnti di traffici e pellegrinaggi che percorrevano l'Italia. La funzione assistenziale era altresì svolta con le domus con annessi degli hospitales.Caratteristica comune a tutti gli insediamenti urbani è la loro collocazione al di fuori della cinta muraria. Le precettorie a volte erano delle vere e proprie fortezze difese da torri e alte mura. Si trattava di complessi autosufficienti che comprendevano di norma: una cappella (in alcuni casi vi era una cappella ad uso esclusivo dei fratres ed un'altra aperta al pubblico), le scuderie, la selleria, le fucine, l'armeria, il mulino, la cantina, il forno, i depositi per conservare le derrate alimentari, l'infermeria e l'ospitale, il cimitero e il "vivarium" (pescheria) ove si allevavano pesci, molto consumati dai Templari durante i periodi di astinenza dalle carni precedenti il Natale e la Pasqua.Nelle zone interne della Puglia sorgevano grandi casali e masserie appartenenti al Tempio con notevoli estensioni terriere che prendevano il nome di grancie o grangie. Spesso le terre venivano affidate a dei concessionari (conductores) che provvedevano a lavorarla dietro il pagamento di un canone d'affitto, mentre nelle comunità più numerose erano gli stessi cavalieri a dedicarsi all'attività agricola. Le colture più diffuse erano il frumento (soprattutto in Capitanata) e l'olivo (nella terra di Bari particolarmente rinomati erano le olive e l'olio della mansione di Molfetta come risulta da alcuni atti dell'epoca), non mancavano la vite, diffusa un po' ovunque nella regione, e i legumi. Accanto alla coltivazione della terra era diffuso anche l'allevamento del bestiame: da carne, da latte e da lana. La Murgia offriva ricchi pascoli alle cospicue mandrie di buoi e bufali appartenenti al Tempio. La produzione agricola era destinata al consumo interno delle domus pugliesi; le eccedenze venivano vendute e una parte del ricavato era versato nelle casse della Sede Centrale sotto forma di responsiones. Nella seconda parte del XII sec. i cereali e i legumi pugliesi erano inviati agli insediamenti in Siria i quali, perdendo terreno a vantaggio dei Musulmani, divenivano sempre più dipendenti dall'Occidente per quanto riguardava i rifornimenti.Con la fine delle Crociate e la disfatta dei regni latini in Terra Santa venne meno la finalità istitutiva dell'Ordine templare, ovvero la protezione dei pellegrini e la lotta agli infedeli. Tornati in Europa, i Milites Christi, che nel frattempo avevano accumulato un immenso patrimonio fondiario e godevano di notevoli benefici e privilegi accordati loro nel corso del tempo dalla Chiesa, cominciarono a dedicarsi ad attività amministrative e finanziarie, prestando somme di denaro considerevoli a sovrani e pontefici e a loro si deve l'invenzione della lettera di credito che facilitava il movimento dei capitali da una nazione all'altra. Nel giro di breve tempo l'Ordine dei monaci-guerrieri diventò una potenza politica ed economica tale da suscitare le invidie sia dei laici che degli ecclesiastici. Sarà proprio il potere accumulato dai Templari a determinare la persecuzione dei cavalieri da parte del re di Francia Filippo IV detto il Bello, bramoso di mettere mano sul tesoro templare, e la soppressione dell'Ordine decisa dal pontefice Clemente V (1312) con la bolla Vox clamantis in excelso durante il concilio di Vienne.



L'organizzazione
La struttura amministrativa dell'Ordine era articolata su un sistema a tre livelli tale da consentire un'amministrazione centralizzata e, al contempo, efficiente. Il livello più periferico e decentrato era costituito dalla Precettoria (Commanderie in Francia) o Convento o Commenda, a un livello intermedio vi era la Provincia, mentre la Sede Centrale dell'Ordine (prima in Terra Santa e poi nel quartiere del Tempio a Parigi dopo la perdita dei territori di Outremer) rappresentava il vertice della struttura.L'unità di base dell'amministrazione era la Commenda, la cui creazione in una data zona era subordinata al possesso di proprietà da parte dei Templari in grado di consentirne l'esistenza e il mantenimento dei cavalieri. Ogni casa era retta da un ufficiale chiamato Commendatore (Commandeur in francese), Precettore o Priore (Praeceptor e Prior in latino), se era un Cavaliere (o in alcuni casi un Sergente), o Abate (in latino Abbas) se apparteneva alla classe dei Canonici, che aveva la responsabilità amministrativa dei beni della domus ed era anche il superiore della comunità; spesso i precettori erano coadiuvati da un claviger o camerarius, inoltre, secondo i costumieri templari, il superiore del convento era tenuto a consultare i confratelli: ciascuna settimana si teneva regolarmente un capitolo qualora i membri della comunità erano più di quattro. Tali assemblee svolgevano anche funzioni giudiziarie e potevano infliggere sanzioni disciplinari.Le precettorie erano raggruppate costituendo le Provincie anche se, talvolta, nell'ambito provinciale vi erano ufficiali intermedi con autorità su un complesso di conventi. Le provincie in genere coincidevano con i regni e i principati. Al vertice di ciascuna Provincia vi era un Maestro Provinciale o Gran Precettore che nominava i superiori dei conventi e, nelle provincie occidentali, riceveva una parte delle rendite delle commanderie. I Maestri Provinciali erano nominati dalla Sede Centrale e svolgevano compiti essenzialmente amministrativi come autorizzare o ratificare la stipula degli atti di compravendita, ricevere donazioni, effettuare permute, intervenire presso l'autorità pontificia o il potere politico per la soluzione di questioni giuridiche, intervenire nella soluzione delle controversie tra le domus templari o tra queste e altri Enti religiosi o ecclesiastici, presiedere alla cerimonia di ricezione nell'ordine dei postulanti; con frequenza annuale si tenevano dei capitoli provinciali a cui prendevano parte i superiori dei conventi durante i quali si discutevano i problemi della Provincia e lo stato delle singole mansioni. Il Magister si faceva aiutare nel governo della Provincia da vicari, procuratores, missi e nunzi. Il controllo da parte delle autorità centrali sulle Provincie avveniva mediante visite canoniche, con l'invio di un ufficiale, detto Visitatore, in una o più sedi provinciali.La direzione dell'Ordine, presso la Sede Centrale, spettava a un Gran Maestro eletto da una commissione di tredici fratres. Dalla fondazione (1118) all'arresto dei cavalieri (1307) si sono succeduti ventitré Gran Maestri, da Hugues de Payns (il primo) a Jacques de Molay (l'ultimo). Come tutti gli altri superiori anche il Gran Maestro era tenuto a consultare gli ufficiali principali dell'Ordine riuniti in un Convento Centrale. Altro organo di governo era il Capitolo Generale costituito dai confratelli indicati dalle provincie. Probabilmente tale assemblea generale dell'Ordine si riuniva una volta l'anno, nominava gli ufficiali più importanti e si ritiene che emanasse le modifiche alla Regola.Per quanto riguarda la penisola italiana, essa era divisa in due unità amministrativo-territoriali: la parte centro-settentrionale e la Sardegna, detta provincia d'Italia o di Lombardia, e la parte meridionale, detta provincia di Apulia, che comprendeva tutto il regno di Sicilia, anche se alcuni storici ritengono che la Sicilia potesse costituire una provincia autonoma. Sino alla morte di Federico II, la Sicilia-Calabria ebbe una propria autonomia amministrativa e propri Maestri. A partire da Manfredi e sino a Carlo I d'Angiò le domus del Regno di Sicilia furono rette da un unico Gran Precettore di Apulia-Sicilia. Sicuramente, con la guerra del Vespro e con il passaggio della Sicilia agli Aragonesi (1282) l'isola cessò di dipendere dalla provincia di Apulia e il centro amministrativo dell'Ordine divenne Messina. Ciascuna provincia era retta da un Gran Precettore che aveva la propria dimora presso la casa madre della provincia. A S. Maria dell'Aventino (Roma) risiedevano i Maestri Provinciali della Lombardia, anche se, nel corso del tempo, questa domus perse d'importanza a vantaggio di quelle di Bologna e Piacenza; mentre a S. Maria Maddalena (Barletta) aveva la residenza il Gran Precettore dell'Apulia. Al di sopra dei Maestri Provinciali vi era un ufficiale responsabile per tutta la penisola chiamato Magister Totius Italiae. Come già detto, a volte esistevano funzionari di rango intermedio con giurisdizione su un insieme di conventi che non costituivano una provincia. In Italia queste unità territoriali più circoscritte erano: Ducato di Puglia, Terra di Lavoro, Terra Romae, Patrimonio del Beato Pietro in Tuscia, Ducato di Spoleto, Marca Anconitana e Marca Trevigiana. Nella provincia settentrionale i Gran Precettori, in particolare, e gli alti funzionari, in generale, provenivano dalla nobiltà locale, nel Regno di Sicilia c'era la prevalenza dei francesi, soprattutto dopo l'avvento della casa D'Angiò sul trono del Regno di Napoli. Due Maestri delle provincie meridionali divennero Gran Maestri dell'Ordine: Armand de Peragors (1232-44) che fu Magister della Sicilia-Calabria nel 1229 e Guillaume de Beaujeu (1273-91), Magister Apuliae nel 1271.La comunità- tipo della domus templare italiana era di solito molto ristretta ed era guidata da un Praeceptor o Prior, più raramente da un Magister e/o Minister. Il Precettore attuava le disposizioni impartite dal Magister Provinciale e amministrava il patrimonio della domus. Presso le comunità più importanti il Precettore era affiancato da missi, priores e yconomi.Nei primi anni di vita dell'Ordine non esisteva distinzione di classi tra i Templari e il termine miles era usato come sinonimo di frater; i chierici erano ammessi come cappellani. Successivamente i membri laici vennero divisi in due classi distinte: i milites (cavalieri) e i servientes (sergenti). I milites avevano ascendenza aristocratica, sovente si trattava dei figli cadetti dediti alla cavalleria secondo gli usi medioevali; mentre per diventare servientes era sufficiente essere uomini liberi. All'interno del gruppo dei servientes si distinguevano i frère des mestiers, che di solito non partecipavano ai combattimenti, e si dedicavano ai lavori all'interno della mansione; i servientes-rustici che erano di origine contadina e svolgevano mansioni bracciantili all'interno delle comunità templari, consentendo all'Ordine di coltivare e migliorare le proprie terre. La presenza dei servientes-rustici era collegata all'estensione del patrimonio da coltivare e alle colture praticate e fra le domus con il maggior numero di tali serventi vi erano quelle della Capitanata; i sergenti d'arme erano fratelli combattenti, distinti dai cavalieri per abito ed equipaggiamento. I cavalieri vestivano di bianco e portavano la croce patente rossa, i sergenti indossavano abiti scuri. Nel governo dell'Ordine prevaleva l'elemento cavalleresco e gli ufficiali più importanti erano milites, tuttavia in Occidente, ove i cavalieri erano pochi, i sergenti potevano assumere la carica di precettore. All'interno delle case templari spesso si trovavano uomini, noti come donati, che vivevano tra i fratres, condividendone la vita quotidiana, senza emettere i voti. Inoltre l'Ordine si avvaleva della collaborazione di servitori retribuiti.

sabato 8 novembre 2008

I Templari in Terra di Puglia. Aspetti generali e storici di Vito Ricci. Rubrica a cura di Antonietta Verducci



Storia della presenza templare in terra di Puglia.
Dalle origini a Innocenzo III, fino al periodo angioino e al processo di Brindisi

I Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone (Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis) ordine monastico-cavalleresco fondato in Terra Santa nel 1118 (o 1119) da Hugues de Payns (o Payens), nobile dello Champagne imparentato con i conti di Troyes, o da Ugo de' Pagani, (come sostenuto da Domenico Rotundo in "Templari, misteri e cattedrali") nobile dell'Italia meridionale originario di Nocera Inferiore, assieme ad altri otto cavalieri con lo scopo di proteggere i pellegrini, già dopo alcuni decenni dalla fondazione era presente in diverse regioni europee tra cui la Penisola italiana. Non si conosce con precisione quando l'Ordine del Tempio cominciò ad insediarsi nella nostra penisola: alcuni studiosi ritengono che il primo insediamento italiano fu a Messina nel 1131, altri nel 1138 a Roma presso S. Maria dell'Aventino, altri ancora a Milano a S. Maria del Tempio nel 1134. Dall'esame dei regesti diplomatici (cfr. Fulvio Bramato, Storia dell'Ordine dei Templari in Italia. Le Inquisizioni. Le Fonti., 1994 pag. 77) tuttavia emerge che nel 1130 la città di Ivrea assegnò ai cavalieri rossocrociati la chiesa di S. Nazario. Quindi sicuramente dopo il 1130, a circa dodici anni dalla costituzione, l'Ordine era già attivo in Italia. La prima testimonianza scritta che attesta la presenza dei Cavalieri nel regno di Sicilia risale al 1143 in una cronaca di Amando, diacono di Trani, che annota la partecipazione dei Templari ad una cerimonia religiosa.La presenza dei Templari in Italia riguardava tanto le regioni settentrionali (ad esempio lungo la via Francigena, una delle arterie principali lungo le quali i pellegrini dalla Francia giungevano a Roma), quanto nelle regioni meridionali e, tra queste, un sicuro ruolo di preminenza fu svolto dalla Puglia per la posizione strategica occupata da questa regione da sempre crocevia tra Occidente ed Oriente. La causa dell'espansione dei Templari in Italia è da ricondurre a due motivazioni principali: la viabilità terrestre e la possibilità di adoperare i porti, in modo speciale quelli della costa pugliese (Manfredonia, Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Brindisi), per l'imbarco verso la Terra Santa dei pellegrini e dei Crociati ed il loro rientro, nonché per la spedizione di vettovagliamento e derrate alimentari alle guarnigioni templari in Outremer. L'espansione dell'Ordine (tra la seconda metà del XII secolo sino alla fine del XIII secolo) avveniva secondo una logica ben precisa tendente a privilegiare in primo luogo le località costiere per poi procedere verso l'entroterra. Secondo una stima approssimata per difetto, in Italia erano presenti almeno 150 insediamenti appartenenti all'Ordine del Tempio, di questi meno di un terzo si trovavano nella parte meridionale della penisola. La maggiore concentrazione di domus templari, molto probabilmente, era nella terra di Puglia ove, tra l'altro, aveva sede, presso S. Maria Maddalena a Barletta, il Maestro Provinciale da cui dipendevano tutte le case del Regno di Sicilia. Gli insediamenti dei Templari erano chiamati in Italia "precettorie" o "mansioni" a seconda della loro importanza, mentre in Francia prendevano il nome di "Commanderies". Anche in Puglia l'espansione sul territorio delle case templari seguì la dinamica sopra esposta: dagli avamposti sul mar Adriatico i Templari cominciarono a penetrare all'interno del territorio pugliese e, in particolare, nelle fertili pianure della Capitanata nell'entroterra garganico e della Murgia in Terra di Bari.

martedì 4 novembre 2008

Tracce di cavalieri Templari nella Basilica di Siponto

La Puglia fu la regione italiana che per prima accolse le domus Templari. Nella Puglia settentrionale prevalevano gli insediamenti interni nelle fertili terre della Capitanata. Le domus della capitanata erano dedite alla coltivazione e raccolta dei cereali e legumi che venivano poi imbarcati per la Terrasanta.Si ritiene che i templari si stabilirono a Siponto nei primi anni del XIII Secolo. Il patrimonio immobiliare di quella fondazione era composto da “4 casalini,13 domus,3 orti, 3 saline, 1 terra, 1 vinea “ che rendevano 5 once annue. Gli storici identificano la domus templare sipontina con la Chiesa di Santa Maria Maggiore. Per Manfredonia non si dispongono di testimonianze dirette della presenza templare con una propria domus, tuttavia è lecito pensare che una fondazione templare fosse presente a Manfredonia che era dotata di un porto rilevante, utilizzato per le spedizioni di derrate alimentari da parte dei Templari come testimonia un documento del 1274 e da un altro del 15 maggio 1299, dal quale sappiamo che i “Bardi facevano salpare da Manfredonia un bastimento dei Templari con grano destinato agli stessi Templari e all’ordine agli Ospedalieri di Cipro.”La simbologia templare è rappresentata da una serie di sigilli e da croci templari propriamente dette che erano lasciate come testimonianza dai Templari. In un sigillo appare uno scudo crociato del tutto simile a quello presente in una parete della Basilica di Siponto.Per quanto concerne le tipologie di Croci: la semplice croce greca è stato il primo modello distintivo dell’ordine: nella nostra Basilica sono presenti molte di queste croci semplici graffitte o a rilevo, in posizioni diverse. Gli altri modelli di periodi successivi, sono più o meno ispirati a quello della croce patente, ovvero la croce a bracci uguali che si allargano nella parte esterna. Questi simboli si ritrovano comunemente in luoghi di frequentazione templare. Di questa tipologia di croci patenti ve ne sono diverse sui muri della Basilica. La più evidente e ben fatta è quella che si riscontra sulla facciata nord, all’interno di una losanga.
Sicuramente il tau templare che si è scoperto in un concio della parete interna della chiesa è molto raro ed è stato eseguito con una tecnica singolare e raffinatissima. (vedi foto)Ve ne sono molte altre che possono essere ammirate, insieme ad altri graffiti, non solo templari, ma di diverse epoche, in quello straordinario giacimento artistico e storico che è la Basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto.
articolo di Aldo Caroleo
fonte Manfredonia.net

venerdì 12 settembre 2008

I Templari nel Veneto




posted on You Tube by Venetoinfo

sabato 6 settembre 2008

I Templari di Arcadia alla Notte Bianca Medievale di Campi






















Oggi 6 settembre 2008, a partire dalle 19,30 noi Templari di Arcadia saremo a Campi per la Notte Bianca Medievale a Campi Salentina (Le), che sarà inaugurata dalprincipe Fulco Ruffo di Calabria. La cittadina si prepara ad assistere a duelli di spade e investiture di cavalieri. Da segnalare la partecipazione della Proloco di Castro, che metterà in scena l'assedio del paese per mano turca del 1573.

giovedì 28 agosto 2008

I Templari non erano eretici

















Infondate le accuse di eresia ai Templari

Lo rivelano degli atti originali rinvenuti nell'Archivio Segreto Vaticano

CITTA' DEL VATICANO
venerdì, 22 agosto 2008 (ZENIT.org).

Le carte originali del processo ai Templari rinvenute nell'Archivio Segreto Vaticano dimostrano l'infondatezza delle accuse di eresia, ha rivelato "L'Osservatore Romano".

Il quotidiano della Santa Sede ha pubblicato il 21 agosto un articolo a firma di Barbara Frale, ricercatrice della Biblioteca Vaticana e autrice di diversi libri sull'argomento, nel quale si getta nuova luce sull'ordine religioso-militare più potente del Medioevo.

lunedì 4 agosto 2008

La colonia perduta dei Templari



La colonia perduta dei Templari
di Steven Sora


L'Età dell'Acquario
Uomini, storia e misteri
Torino, 2006
Genere: Storia, misteri
ISBN: 88-7136-22
Prezzo di Copertina: 22 EUR
www.etadellacquario.it/


La missione segreta di Giovanni da Verrazzano in America.





Nel 1524 il re di Francia Francesco I affidò a Giovanni da Verrazzano la missione di scoprire una nuova rotta per la Cina. Secondo Steven Sora, in realtà, l'esploratore italiano doveva entrare in contatto con una colonia templare americana, fondata alla fine del XIV secolo da Henry Sinclair a Newport, nel Rhode Island, nella cui baia, nei pressi di una misteriosa torre grande come i battisteri templari, alcuni edifici sacri simboleggiano ancora oggi il battesimo e la vita eterna. Verrazzano trovò la torre ma della colonia templare non rinvenne alcuna traccia: i templari si erano trasferiti altrove, secondo il disegno enigmatico che li ispirava, eppure la loro Compagnia del Santo Sacramento, società segreta di ugonotti e cattolici sulpiziani, riuscì a far rivivere oltreoceano il sogno libertario ed eterno dell'Arcadia, al di fuori delle costrizioni delle Chiese e degli Stati, e gettò le fondamenta della futura Montréal, estremo bastione nella lotta contro i gesuiti. Tra storia e suggestione romanzesca, Steven Sora formula in questo volume alcune intriganti ipotesi su molte vicende importanti della nostra storia, a partire dalla scoperta dell'America di Cristoforo Colombo, avvenuta, forse, sotto il segno inconfondibile e magico della Sacra Stirpe...L'AutoreSteven Sora è l'autore di numerosi volumi dedicati ai templari, tra cui Il tesoro dei templari edito in Italia da Piemme. Vive a Easton, Pennsylvania.

mercoledì 23 luglio 2008

Raffaele Taddia e l'ultimo segreto dei Templari


I Pentacoli Magici di Francia

L'ultimo segreto dei Templari

Un magico borgo della Francia meridionale, Rennes-le-Chateau, si rivela speculare a un campo di battaglia del medioevo.
E così il mito della “Stirpe di Dio” muta in un complotto, teso a custodire un grande segreto Templare.
Un testo frutto di minuziose ricerche storiche e fortunate intuizioni.

Il mese di marzo ha visto l'uscita di almeno tre libri che si occupano, tra le altre cose, di Rennes-le-Château.
Uno di questi è “I pentacoli magici di Francia” di Raffaele Taddia, che ha come sottotitolo "L'ultimo segreto dei Templari": la presentazione sembra alludere ad un romanzo ("Un magico borgo della Francia meridionale, Rennes-le-Château, si rivela speculare a un campo di battaglia del medioevo. E così il mito della "Stirpe di Dio" muta in un complotto, teso a custodire un grande segreto Templare"), ma la chiusura sembra invece farne un saggio storico ("Un testo frutto di minuziose ricerche storiche e fortunate intuizioni"); quale delle due classificazioni è quella corretta? Non resta che farsene un'idea direttamente, leggendolo con attenzione e spirito critico.

fonte www.uni-service.it

mercoledì 9 luglio 2008

Maria maddalena ... moglie di gesù?

I vangeli apocrifi e alcuni racconti moderni ad essi ispirati, sostengono che Gesù, o si sposò, o comunque ebbe relazioni amorose. In tali leggende la sposa risulta essere sempre Maria Maddalena.
L'apocrifo Vangelo di Filippo, per esempio, racconta: "la compagna del Salvatore è Maria Maddalena, Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca". Ma in quello stesso vangelo, che secondo gli studiosi non risale a prima della seconda metà del II secolo, il bacio sulla bocca è un segno rituale comune anche agli altri personaggi perché «il Logos viene da quel luogo, egli nutre dalla sua bocca e sarà perfetto. Il perfetto, infatti, concepisce e genera per mezzo di un bacio. È per questo che noi ci baciamo l'un l'altro. Noi siamo fecondi della grazia che è in ognuno di noi»
Maria Maddalena è rappresentata nei Vangeli canonici come un personaggio importante: la sua presenza alla Crocifissione e nella successiva visita alla tomba hanno fatto ipotizzare che il suo ruolo particolare derivasse dall'essere la vedova, mentre potrebbe semplicemente trattarsi di una seguace che gli era stata molto vicina e che si era assunta il compito di occuparsene insieme alla madre Maria.
Secondo una recente ipotesi Gesù sarebbe stato sposato con Maria Maddalena e da loro sarebbe nata la dinastia dei Merovingi che regnò in Francia tra il V e l' VIII secolo. La Maddalena, assieme al figlio avuto da Gesù e ad altre donne citate nei vangeli, dopo la crocifissione sarebbe fuggita dalla Palestina su una barca per approdare in Provenza. Avrebbe poi risalito il Rodano raggiungendo la tribù dei Franchi, che non sarebbero stati altro che la tribù ebraica di Beniamino nella diaspora. Il santo Graal secondo questa teoria rappresenterebbe simbolicamente il sang real ovvero il sangue regale di questa stirpe dalle origini nobilissime.
Questa tesi si trova esposta nel best seller Il santo Graal di Baigent, Leigh e Lincoln, un libro del 1982 che ha dato lo spunto a moltissimi altri testi sulla "linea di sangue del Graal", ma non è suffragata da alcuna fonte storica a parte l'ovvia citazione della famosa leggenda medievale dello sbarco della Maddalena in Francia, resa popolare da Jacopo da Varazze nella Legenda Aurea. Le uniche fonti citate dai tre autori per sostenere che i Merovingi avrebbero avuto origine dalla discendenza di Gesù e Maria Maddalena sono infatti Les dossiers secrets del Priorato di Sion, una serie di documenti dattiloscritti depositati presso la Bibliotheque National di Parigi negli anni '60. Questi testi contengono complicate linee di discendenza ed elenchi di presunti Gran Maestri del Priorato (descritti come i custodi del vero segreto del Graal), ma le ultime ricerche hanno confermato essere stati inventati da Pierre Plantard per millantare una propria discendenza nobiliare dai Merovingi.

Leggende su Maria Maddalena
Un racconto provenzale vuole che diversi seguaci di Gesù approdassero nel 48 d.C. a Saintes-Maries-de-la-Mer, in Provenza, dopo le prime persecuzioni in patria, e qui portassero il credo cristiano. I personaggi variano a seconda delle fonti, ma quelli più spesso citati sono Maria Maddalena, Marta, Maria Salomè, Maria Jacobé (sorella di Maria madre di Gesù), Lazzaro, Massimino e una serva di nome Marcella o Sara. Questa storia è stata diffusa soprattutto da Jacopo da Varazze nella Legenda Aurea, un repertorio di vite di santi ed episodi evangelici scritto alla fine del XIII secolo.

fonte www.wikipedia.it

venerdì 4 luglio 2008

Re Artù ... e i Templari?

















La storicità di Re Artù è stata a lungo dibattuta dagli studiosi, ma negli anni si è raggiunto un consenso nel ritenere sostanzialmente leggendaria la figura del sovrano. Una scuola di pensiero avanzerebbe l'ipotesi che fosse vissuto nel tardo V secolo o agli inizi del VI secolo, che fosse stato un romano-britannico e che avesse combattuto il paganesimo sassone. I suoi ipotetici quartieri generali si sarebbero trovati in Galles, Cornovaglia, o ad ovest di ciò che sarebbe diventata l'Inghilterra. Ad ogni modo, le controversie sul centro del suo potere e sul tipo stesso di potere che esercitava continuano tutt'oggi.

C’è chi sostiene che la figura di Artù possa coincidere con quella di un certo Riotamo, 're dei Brettoni", attivo durante il regno dell'imperatore romano Antemio. Sfortunatamente, Riotamo è una figura minore di cui sappiamo ancora poco e nemmeno gli studiosi sono in grado di capire se i "bretoni" che comandava erano i britannici o gli abitanti dell'Armorica. Altri studi portano ad identificarlo con Ambrosio Aureliano, un signore della guerra romano-britannico che vinse alcune importanti battaglie contro gli anglosassoni, tra cui la battaglia del Monte Badon.

Altri suggeriscono di identificarlo con Lucio Artorio Casto, un dux romano del II secolo, i cui successi militari in Britannia sarebbero stati tramandati nei secoli successivi. Ufficiale (col rango di praefectus) della VI legione in Britannia, che potrebbe aver guidato un'unità di cavalieri sarmati (provenienti dall’Ucraina meridionale), stanziati a Ribchester, che conducevano campagne militari a nord del vallo di Adriano. Le imprese militari di Casto in Britannia e Armorica (odierna Bretagna) potrebbero essere state ricordate per i secoli successivi e aver contribuito a formare il nucleo della tradizione arturiana, così come le tradizioni portate dagli alano-sarmati. C'è anche chi parla dell'usurpatore romano Magno Massimo.

Un'altra teoria è quella secondo cui il nome di Artù sarebbe in realtà un titolo portato da Owain Ddantgwyn, che sembrerebbe essere stato un re di Rhôs. C'è poi l'ipotesi che egli sarebbe in realtà un re dell'età del bronzo, circa 2300 a.C.: estrarre una spada da una roccia sarebbe infatti una metafora della costruzione di una spada e della sua forgiatura su un'incudine.

Altre supposizioni si basano sul fatto che Artù fosse Artuir mac Áedán, figlio di re Áedán mac Gabráin della Dalriada, un signore della guerra scozzese che guidò gli scoti di Dalriada contro i pitti. Secondo questa teoria, Artù avrebbe quindi svolto le sue azioni di guerra soprattutto nella regione tra il Vallo di Adriano e quello di Antonino (area del Gododdin). Per alcuni Artù potrebbe addirittura essere stato lo stesso Áedán mac Gabráin. E c'è chi pensa[2] che Artù avrebbe comandato una coalizione di celti cristiani contro gli invasori pagani, riuscendo a tenerli lontani per un centinaio d'anni circa.

Ad ogni modo, si hanno svariati omonimi, o persone con nomi simili, nella sua generazione e si può pensare che siano poi stati riuniti dalle credenze popolari e tramandati come se fossero un'unica entità. Ed ecco così spuntare Arthnou, un principe di Tintagel (in Cornovaglia), che visse nel VI secolo, oppure Athrwys ap Meurig, re del Morgannwg (odierno Glamorgan) e del Gwent (due aree del Galles). Artù potrebbe quindi essere un semplice collage di tutte queste figure mitologiche o storiche.

Artù figura leggendaria

Il nome Arthu in lingua celtica continentale significa orso, simbolo di forza, stabilità e protezione, caratteri anche questi ben presenti in tutta la leggenda[3]. Nella civiltà celtica gli uomini avevano come nome proprio quello di un animale che sceglievano per sottolineare un tratto fisico o caratteriale, e l'orso è l'animale simbolo per eccellenza della regalità. Anche sulla base del suo nome, una scuola di pensiero ritiene che la figura di Artù non abbia nessuna consistenza storica e che si tratterebbe di una semi-dimenticata divinità celtica poi trasformata dalla tradizione orale in un personaggio realmente esistito, come sarebbe accaduto per Lir, dio del mare, divenuto poi re Lear[4]. In gallese la parola arth significa "orso" e tra i celti continentali (anche se non in Britannia) esistevano molte divinità-orso chiamate Artos o Artio. È probabile che queste divinità sarebbero state portate dai celti in Britannia. Va anche notato che la parola gallese arth, quella latina arctus e quella greca arctos significano "orso". Inoltre, Artù è chiamato l'"Orso di Britannia" da alcuni scrittori. "Arktouros" ("Arcturus" per i Romani), ovvero "guardiano dell'orsa", e "Arturo" in italiano) era il nome che i Greci davano alla stella in cui era stato trasformato Arkas, o Arcade, re dell'Arcadia e figlio di Callisto, che invece era stata trasformata nella costellazione dell'Orsa Maggiore ("Arctus" per i Romani). Altre grafie esistenti del suo nome sono Arzur, Arthus o Artus. L'epiteto di "Pendragon" gli viene invece dal padre, Uther Pendragon.



fonte www.wikipedia.it


sabato 28 giugno 2008

Padre Pio e Il Graal









Una coppa misteriosa, che sarebbe appartenuta a San Pietro e rappresenterebbe un «dono di Dio» a San Francesco poi trasmesso a Padre Pio. Una lettera manoscritta con passaggi criptici, vergata con calligrafia chiara e giovanile dal santo stimmatizzato quando questi in realtà era ormai alla fine della sua vita, che attesta l’autenticità del vaso definendolo «in me Segreto» e «testimone di immensa luce». Un regista con interessi nel mondo dello spiritismo, pronipote del medico che curò Padre Pio, che si dichiara perseguitato e teme di essere messo a tacere dopo aver tentato in tutti i modi di raccontare la storia del graal. No, non state leggendo la trama di un nuovo thriller fantareligioso ma una storia approdata a «Striscia la notizia», il tg satirico di Canale 5.

Il protagonista si chiama Al (diminutivo di Alberto) Festa, regista cinematografico, 50 anni, parente di Giorgio Festa, il dottore che operò Padre Pio e ne esaminò le stimmate scrivendo una dettagliata relazione. A «Striscia», martedì scorso, Festa, basandosi su alcune foto della sepoltura del frate, ha dapprima sollevato dubbi su una possibile manomissione del corpo, facendo notare come i sigilli originali non figurassero sul vetro al momento della riesumazione e raccontando persino la «voce» di un presunto trasferimento delle spoglie in Vaticano. Su questo argomento i frati di San Giovanni Rotondo non hanno avuto problemi a chiarire, smentire e puntualizzare: nei giorni dell’esposizione del corpo, prima dei funerali, vennero eseguite varie ispezioni e un cambio di bara. Così, subito prima della tumulazione, i sigilli l’ultima volta vennero apposti non sul coperchio di vetro, ma sulla cassa di metallo, dove sono rimasti fino al 2 marzo scorso. Nessun mistero, nessun trafugamento, nessun segreto celato negli scantinati vaticani.

Ai microfoni di «Striscia», Alberto Festa ha però rilanciato anche la storia della lettera e del possibile «santo graal» di Padre Pio, da lui già annunciata con conferenza stampa il 26 novembre 2003, quando definì il vasetto «di incredibile importanza». In questi anni si era sempre creduto che Festa avesse trovato il graal, e la lettera che lo autenticava scritta da Padre Pio, tra gli oggetti del prozio, medico del frate.

In realtà le cose non sono andate proprio così. Si è trattato di un acquisto, per un valore di circa 75mila euro. Da un atto di citazione depositato al tribunale di Roma in data 12 gennaio 2006 risulta infatti che Festa ha comprato lettera e graal da un certo Emanuele Cervone, il quale ha fatto da intermediario tra i parenti di un frate, padre Cristoforo da Vico del Gargano, custode dell’oggetto, al quale a sua volta l’avrebbe donato nel marzo 1968 lo stesso santo di Pietrelcina. C’è di mezzo una causa, perché Festa, nel 2005, a fronte delle tante e autorevoli obiezioni ricevute sul documento e sul reperto, smise di pagare Cervone e ricevette da questi delle ingiunzioni di pagamento. Nell’atto di citazione scritto dall’avvocato di Festa, Antonella Rustico, si legge che la «genuinità e provenienza certa» dei due reperti non è stata «mai dimostrata» dal venditore.
Oggi quella causa è stata abbandonata e grazie a una transazione, Cervone e Festa si sono accordati. La lettera e il graal appartengono ora a pieno titolo al pronipote del medico del santo. Ma sono autentici? Esiste una perizia grafologica sulla lettera, redatta dal professor Alberto Bravo, e datata 2003 (dunque in data precedente al contenzioso tra Festa e Cervone), che conclude: «Le analisi di confronto confermano la riconducibilità della scrittura in verifica alla mano del Santo Padre Pio». Così come esiste una perizia secondo la quale sarebbe attestata l’età del vasetto, risalente al primo secolo. Lo stesso Postulatore generale dell’Ordine dei cappuccini, padre Florio Tessari, si è dichiarato in favore dell’autenticità della missiva.

da Il Giornale del 22 maggio 2008 di Andrea Tornielli

domenica 22 giugno 2008

Il Bafometto





















Un Baphomet o Bafometto è un idolo o un'immagine. Ne esistono varie descrizioni come: un idolo con un teschio umano, una testa con due facce, un idolo-gatto ed una testa barbuta. La probabile etimologia del nome è trattata in seguito.

Il termine ricorre per la prima volta nei verbali del processo contro i Cavalieri templari; durante la soppressione dell'ordine fu sostenuto dall'Inquisizione che i cavalieri usassero un Baphomet come parte delle loro cerimonie di iniziazione. Questo fatto, oltre ad altre asserzioni, fece sì che il loro Ordine religioso fosse accusato di eresia e idolatria. In ogni caso il nome fu ripreso, dal XIX secolo, dai sostenitori dell'occultismo.

Una più recente e conosciuta descrizione raffigura il Bafometto nella forma di un capro umanoide alato con seno ed una torcia sulla testa tra le corna. Questa immagine proviene dall'opera di Eliphas Lévi Dogme et rituel de la haute magie (Dogma e rituale dell'alta magia) del 1855-56.


Il Baphomet, come suggerisce l'illustrazione di Levi, è stato occasionalmente mal interpretato come sinonimo di Satana o come un demone, un membro della gerarchia dell'Inferno. Nella testa del Baphomet di Levi era inscritto un pentacolo, che è un simbolo adottato dai fedeli della Wicca e da altri seguaci dell'occultismo. Una testa di capro inscritta in un pentagramma invertito, è un simbolo occasionalmente adottato dai satanisti. La testa, le corna e la torcia insieme prendono la forma di un Fleur de lys.

Origine del termine

Essendo un nome estorto sotto tortura durante gli interrogatori dei Templari, non si può escludere che possa essere stato originato semplicemente come un'onomatopea o un errore di trascrizione dei verbali, nei quali in effetti il termine ricorre per la prima volta; la presenza del baphomet fu utilizzata dagli inquisitori (istigati dal re di Francia Filippo il Bello) per aggiungere l'idolatria alle altre infamanti accuse nei confronti dell'Ordine, allo scopo di distruggerlo.

Sull'origine del misterioso termine sono, in ogni caso, state elaborate numerose teorie, nessuna delle quali provata:

  • Una deformazione latinizzata di Mahomet, una versione medievale europea di Maometto, il nome del profeta dell'Islam.[2]
  • Idries Shah propose che Baphomet deriverebbe dalla parola araba ابو فهمة Abu fihamat, con il significato di "padre dell'ignoto", e associato con il sufismo.
  • Levi propose che il termine fosse composto da una serie di abbreviazioni: "Temp. ohp. Ab". che prendono origine dal latino Templi omnium hominum pacis abhas, con il significato di "padre della pace universale tra gli uomini". Una lettura alternativa potrebbe essere tem. o. h. p. ab. per templi omnium hominum pacis abbas. La traduzione in questo caso è abate del tempio della pace dell'umanità, forse in riferimento ai Templari stessi.
  • Dalle parole greche Baphe e Metis. Le due parole insieme significherebbero "battesimo di saggezza".[3]
  • Una corruzione del termine ebraico Behemoth[4] (letteralmente "Bestie", pluralis maiestatis di "behemah"), citata nel libro biblico di Giobbe (40:15) e di Ezra (6:49 e 6:51).
  • Se tradotto secondo il cifrario di Atbash (scoperto dallo studioso Schonfield), l'origine del termine sarebbe Sophia, la parola greca per Saggezza.

fonte testuale www.wikipedia.it
l'opera fa riferimento al Bafometto visto da Eliphas Levi

martedì 17 giugno 2008

I Templari di Paolo Lopane













Il 13 ottobre 1307 vennero arrestati in massa i Templari di Francia. Fu il primo atto del sommario processo che decretò la fine del più potente degli Ordini cavallereschi, quello che più di ogni altro incarnò l’idealità delle Crociate e la spiritualità del Medioevo. Sottratti all’autorità dei vescovi, obbedienti solo alla Santa Sede, i Templari godettero di grande autonomia e di straordinario prestigio. Fu la loro immensa ricchezza a spingere Filippo IV di Francia, sovrano avido e privo di scrupoli, a costruire il castello accusatorio che farà degli eroi della Terra Santa dei «terribili nemici della fede e della società.» Il saggio, agile e intenso, ricostruisce la parabola del Tempio e, con essa, la genesi del suo ideale mistico-cavalleresco.

PAOLO LOPANE (1959) è nato e lavora a Bari. Appassionato studioso di storia medievale, profondo conoscitore della giurisdizione e delle procedure inquisitoriali, ha pubblicato un documentato saggio sul catarismo occitano, Dal Velo d’Iside al mistero del Graal. Il risveglio della gnosi nella Francia albigese (Besa, 2000). Ha inoltre contribuito con uno studio sulla presenza dei Templari nella Valle dell’Ofanto alla stesura del volume Ofanto, realizzato e pubblicato sotto il patrocinio del Ministero dell’Ambiente (2004).

venerdì 13 giugno 2008

I Templari di Arcadia

I TEMPLARI DI ARCADIA

19 Giugno 2008 - h 19,30

Campi di Lecce

presso l'Ex Biblioteca Comunale

Cerimonia di Investitura di tre nuovi Cavalieri Templari di Arcadia

Presiederanno alla manifestazione

Il Presidente Valentino Zanzarella
Leonzio Colonna - Gran referendario
Mario Spagnolo – Gran dignitario

Autorità presenti :
Il Sindaco di Campi Salentina Massimo Como
Ass. alla Cultura Ilio Palmariggi

Il 19 giugno 2008 alle ore 19,30 , presso l’Ex Biblioteca Comunale di Campi (Lecce) si terrà la cerimonia di investitura di tre nuovi cavalieri templari di Arcadia. L’occasione sarà un momento di incontro non solo di carattere celebrativo, ma momento di pubblica presentazione degli obiettivi e dell’attività dell’associazione d’ispirazione templare di Lecce, che ha nome ARCADIA.Quello dei "Pauperes commilitones Christi templique Salomonis" (Poveri compagni di Cristo e del Tempio di Salomone), meglio noti come Cavalieri templari o semplicemente Templari, fu uno dei primi e più noti ordini religiosi cavallereschi cristiani. L'origine di quest'ordine risale agli anni 1118-1120, successivi alla prima crociata (1096), quando la maggior parte dei cavalieri era tornata in Europa e le esigue milizie cristiane rimaste erano arroccate nei pochi centri abitati. Le strade della Terrasanta erano quindi infestate da predoni e Ugo di Payns, originario dell'omonima cittadina francese della Champagne, insieme al suo compagno d'armi Goffredo di Saint-Omer e ad alcuni altri cavalieri, fondarono il nucleo originario dei templari, dandosi il compito di assicurare l'incolumità dei numerosi pellegrini europei che visitavano Gerusalemme dopo la sua conquista. L'ordine venne ufficializzato il 29 marzo 1139 dalla bolla Omne Datum Optimum di Innocenzo II e definitivamente dissolto tra il 1312 e il 1314 dopo un drammatico processo.Ma oggi è tutto diverso! Per ARCADIA non servono raccomandazioni, ma volontà, lealtà e tanto di coraggio . Il Nostro Obiettivo è risvegliare i valori della Cavalleria e della Tradizione dei Cavalieri Templari. Il Cavaliere Templare di oggi è un cavaliere nelle azioni, nella comunione d'intenti, nei sentimenti di fratellanza verso i propri fratelli e sorelle della Congregazione, è una persona di buona volontà di cui sono provate le doti morali e professionali. Per questo cerchiamo persone di qualità morale , non sono il ceto sociale o il loro stato patrimoniale che ci interessano , ma che abbiano dentro di sé dei valori etici e l'attitudine di trasmetterli agli altri.

In collaborazione con Edita Literary Agency

http://www.editaliteraryagency.blogspot.com/

http://www.arcadialecce.altervista.org/

http://www.itemplaridiarcadia.blogspot.com/

mercoledì 11 giugno 2008

Jean Blum, Rennes-le-Chateau (Il segreto degli eretici)

L’abate Bérenger Saunière viene nominato curato di Rennes-le-Château il 1° giugno 1885. Ha 33 anni. Un prete di provincia per una parrocchia di un piccolo centro del Sud della Francia. Dov’è la notizia? La chiesa poi perde i pezzi, è antica certo, ma come lo sono molte chiese in Europa, testimonianze di tempi lontani in cui la religione cristiana conquistava i pagani e sconfiggeva gli eretici. Ecco, il teatro della storia non potrebbe essere più ordinario. E forse uno dei segreti è proprio questo, suggerisce Jean Blum. Un teatro spoglio per una storia ingombrante che da secoli resta sospesa tra religione ed esoterismo, eresia, gnosticismo, sangue reale. Al di là delle domande superficiali e un po’ morbose che pure nutrono, e forse fraintendono, il mistero di Rennes-le-Château – intorno all’enorme fortuna ostentata da Saunière, alle sue spese folli, alla magnifica villa Betania, al restauro della chiesa, alle morti sospette, alle enigmatiche iscrizioni tombali –, al di là della mera cronaca, Jean Blum, da scrittore di thriller si direbbe, conduce il lettore attraverso la storia e le sue grandi svolte, come il Concilio di Nicea dell’anno 325, dà voce a protagonisti misconosciuti, come Meroveo, Sigeberto, Ario, e getta nuova luce sulle istituzioni che hanno formato l’Europa come noi la conosciamo oggi. Al termine di questo affascinante racconto, l’azione di un secolo fa non sembra sfumata invano. Le forze che si richiamano all’autentico Gesù sono più vive che mai, il segreto di Rennes-le-Château non è stato violato.

L'AUTORE

Appassionato di filosofia e dei grandi temi della ricerca spirituale, lo storico Jean Blum ha dedicato numerose opere all’eresia catara, tra cui Mystère et message des Cathares e Les Cathares, du Graal au secret de la mort joyeuse (tutti pubblicati da Rocher).




fonte: www.etadellacquario.it

lunedì 9 giugno 2008

La Lancia del Destino


« Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. »

Nella tradizione cristiana, la Lancia del Destino (nota anche come Lancia Sacra o Lancia di Longino) è la lancia con cui, secondo il Vangelo di Giovanni (19:31-37), Cristo fu ferito al costato dopo essere stato crocefisso. Nel più antico riferimento a questo episodio, che si trova nel Vangelo di Nicodemo, a colpire Gesù fu un centurione di nome Longino; a questo si deve il nome latino dell'arma, Lancea Longini. Fonti successive riportano erroneamente il nome del centurione Longino attribuendogli quello di Gaius Cassius che equivarebbe all'attuale "Mario Rossi". La Lancia del Destino svolge un ruolo importante nella mitologia del Graal e, di conseguenza, nel ciclo arturiano, in cui viene identificata, tra l'altro, con l'arma che ha ferito anche il Re Pescatore.



fonte www.wikipedia.it


domenica 8 giugno 2008

venerdì 6 giugno 2008

Evola e il mistero del Graal

Chi conosce la storia del Graal e dei cavalieri della Tavola Rotonda soltanto attraverso il Parsifal di Richard Wagner o le divagazioni di certi ambienti “spiritualistici”, il film Excalibur di John Boorman o i moderni romanzi di “fantasy” da questo libro di Julius Evola sarà condotto in un mondo insospettato e suggestivo, ricco di simboli, di elementi metafisici e di significati profondi. Basandosi su tutti i principali testi originali della leggenda e di cicli affini (antichi francesi, inglesi e tedeschi), viene precisato il senso del mistero del Graal, mistero che non ha un carattere vagamente mistico, ma iniziatico e regale, e che si lega ad una tradizione anteriore e preesistente al cristianesimo, mentre presenta connessioni essenziali con l’idea di un centro supremo del mondo e di un misterioso dominatore. Delle varie avventure cavalleresche, svolgentisi in un’atmosfera strana e “surreale”, l’Autore indica il significato nascosto, rifacentesi essenzialmente ad esperienze e prove interne. Anche il simbolismo della “donna” e dell’eros viene adeguatamente spiegato per le valenze che ha in questo specifico contesto. Dopo di che, l’esame si porta sul significato che ebbe l’improvviso apparire e scomparire delle leggende del Graal nel Medioevo occidentale. Esso rappresentò la più alta professione di fede del ghibellinismo ed ebbe strette relazioni col templarismo. Julius Evola considera poi varie correnti che in un certo modo ripresero l’eredità del Graal dopo la distruzione dell’Ordine dei Templari e il declino del Sacro Romano Impero. Nel parlare dei Templari, poi dei Catari, del “Fedeli d’Amore” (cui appartenne anche Dante), degli ermetisti e via via fino ai rosacruciani, l’Autore dischiude al lettore altri inediti àmbiti culturali. Di notevole interesse, per il punto di vista originale, sono le considerazioni finali sul senso della massoneria e sulle sue trasformazioni nel tempo, oltreché su quei temi delle leggende trattate che non sono soltanto di ieri ma presentano una perenne attualità che si ritrova – insospettabilmente – sino ai nostri giorni tecnologici e materialisti. Nell’arco degli ultimi quattro o cinque lustri abbiamo inoltre assistito ad un continuo pubblicare di saggi e romanzi sul Medioevo, la Cavalleria e il Graal sia come nuove opere, sia come ristampe di testi classici. In questo clima – tratteggiato per ampie linee comparatiste corredate da un’ampia bibliografia nel saggio di appendice a questa nuova edizione – Il mistero del Graal svolge ancora oggi, e forse oggi più che mai, una propria funzione essenziale: non soltanto come testo di amplissima erudizione, di insospettate rivelazioni, di affascinante lettura, ma soprattutto come strumento metodologico di un’interpretazione simbolica insuperata, tale da consentire il formarsi di un punto di vista eterodosso e controcorrente rispetto alla cultura e alla storiografia ancora predominanti.
fonte www.ediz-mediterranee.com

giovedì 5 giugno 2008

Il Parsifal













Nelle leggende e nei racconti del ciclo arturiano, Parsifal (o Perceval, Percival) è uno dei Cavalieri della Tavola rotonda, e, in particolare, colui che ritrova il Graal. Le versioni medievali di questa leggenda variano l'una dall'altra, ma tutte raccontano di un ragazzo nato e cresciuto nella foresta. Sir Parsifal of Relkkad ( questo il nome completo ) sin da bambino mostrò di avere le qualità di un grande cavaliere. Il suo cuore puro, la sua volontà nello schierarsi sempre contro il male in ogni sua forma, il suo enorme coraggio e la sua onestà lo resero incapace di allinearsi al suo mondo fatto di soprusi e di ingiustizie. Proprio durante un suo viaggio per il mitico mondo di Irc ebbe il primo vero incontro con la magia. Vedendo un inerme volpe essere aggredita da un gruppo di uomini, decise di intervenire in difesa del povero animale umiliando i cacciatori vigliacchi che l’aggredirono per puro divertimento. La volpe per sdebitarsi, svelò la sua vera identità trasformandosi nel drago magico Retth, condottiero del fuoco dagli immensi poteri magici. Retth risvegliò anche i poteri magici che Parcival nascondeva dentro il suo cuore. Insieme intrapresero un lungo cammino attraverso le lande del magico mondo di Irc sconfiggendo il male ed aiutando i più deboli e gli oppressi. Assieme a Retth entrarono nelle terre di Camelot, regno di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, un mondo fatto di onestà e di giustizia. Parsifal si unì a Re Artù e con lui iniziò a combattere le Oscure forze del male assieme ai prodi cavalieri del regno di Camelot. La notorietà di Percival è, inoltre, dovuta ad una versione secondo cui egli sarebbe il cavaliere della cerca del Graal che più è andato prossimo alla conquista. Egli avrebbe infatti trovato il Re pescatore, discendente di Giuseppe d'Arimatea, e, banchettando alla sua mensa, avrebbe visto il Sacro Graal e la lancia di Longino, da questi custodite. Tuttavia, non avrebbe bevuto alla sacra coppa per non aver chiesto di più sul loro conto, peccando con ciò di timidezza.

fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Parsifal